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Le origini del fascismo (formazione,trasformazione,socialisti all'inizio,antisindacalisti dopo)

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Messaggio Da Ospite Ven Ago 15 2008, 01:57

Il fascismo rappresenta uno degli eventi della storia sul quale molto si è soffermata la storiografia,sia quella contemporanea ad esso, sia quella successiva fino ad arrivare ai giudizi di più recente divulgazione.
Studiare il fenomeno fascista in tutte le sue pieghe, le sue sfumature ed i suoi continui mutamenti, richederebbe un lavoro immane, dalle dimensioni quasi enciclopediche. Io ho tentato di focalizzare l’attenzione sulla sua genesi; ho ricercato infatti (nei limiti delle mie possibilità attraverso la lettura di alcuni testi) i soggetti, le situazioni storiche, le condizioni socio-politico-economiche che stanno alla base delle sue origini e che costituiscono il formidabile e nel contempo inquietante strumento di cui si è servito il suo principale artefice e prodotto: Benito Amilcare Andrea Mussolini.
Non esiste un’unica storia del fascismo ma ne esistono tante, diverse e tutte con alla base un fondamento di verità. Interpretare il fascismo significa dunque esplorare la storia d’Italia di quel periodo andando a ritroso almeno fino alla grande guerra ed incardinare il fenomeno nell’ambito dell’ esperienza nazionale. Nell’Europa dei primi del Novecento infatti ogni nazione ha avuto una storia ed ogni storia ha prodotto frutti specifici difficilmente sovrapponibili a quelli degli altri paesi.

Per comprendere in tutta la sua complessità il fascismo si devono tener presente alcuni elementi.

Il fenomeno fascista è stato un fenomeno italiano che si è sviluppato in un arco temporale racchiuso tra le due guerre mondiali con radici esistenti già prima del conflitto del ‘14-’18.
Tuttavia l’esistenza di queste precondizioni non postula automaticamente lo sbocco fascista. Questo fu invece la conseguenza di innumerevoli fattori, di errori, di illusioni, di paure, di sottovalutazioni il cui significato tenterò di spiegare più avanti.

La base sociale del fascismo pur essendo alle origini molto definita e riconducibile alla piccola borghesia, si è poi ampliata, inglobando altre categorie della società italiana e non solo in ragione della sua natura autoritaria. Ma è fuori di dubbio che il legame fascismo-ceti medi è da considerarsi come elemento fondamentale.
Subito dopo la Prima guerra mondiale i ceti medi entrarono in un periodo di grave crisi. Sul piano economico-sociale questa assunse caratteristiche e misure differenti a seconda che si trattasse dei ceti tradizionali, come gli agricoltori, i commercianti e piccoli imprenditori, o di quelli di più recente emersione come gli impiegati, gli intellettuali salariati. Tutti si trovarono di fronte ad una società in rapida trasformazione in cui due giganti si fronteggiavano, il proletariato da una parte, la grande borghesia dall’altra.
Sul piano psicologico-politico la piccola borghesia viveva in uno stato di frustrazione (era infatti la prima vittima dell’inflazione, del caro vita, dei blocchi dei fitti) che si trasformava inesorabilmente in una sorda contestazione e in un confuso desiderio di riscatto. La caduta della lira colpì duramente chi disponeva di un reddito fisso. Il deficit di bilancio dello stato passò da 214 milioni nel 1913 a 23 miliardi nel 1918. Un grammo d’oro costava 3,50 lire nel 1913 e ben 14 lire nel 1920. Ma mentre il proletariato in ragione delle sue rivendicazioni sindacali ottenne una parziale rivalutazione dei salari, gli artigiani, i piccoli commercianti, gli impiegati, privi di qualsiasi rappresentanza, soffrirono la crisi economica. Ma le classi medie non tollerarono di essere assimilate al proletariato. Consapevole del proprio valore sociale anche il più misero dei bottegai si considerò membro di una classe superiore al proletariato.
Tuttavia se i muratori della costruzione fascista furono i ceti medi, gli ingegneri vantavano una più articolata provenienza. I capi fascisti infatti, nella maggior parte dei casi, erano accomunati dalle medesime esperienze: avevano militato nei partiti o nei movimenti d’estrema sinistra e/o erano stati combattenti in guerra con funzioni di comando.
Essi di conseguenza avevano gli strumenti per elaborare una ideologia rivoluzionaria in sintonia con le aspirazioni delle masse in ragione della loro formazione socialista ed avevano la ferrea volontà, la determinazione e la spregiudicatezza tipica di chi in guerra ha dovuto affrontare il suo nemico, per poterla realizzare. Il fascismo fu dunque un fenomeno indubbiamente rivoluzionario con buona pace di chi considera la rivoluzione come una pregiudiziale di un preciso ordine politico-ideologico.
Da qui la vera novità del fascismo rispetto agli altri movimenti o regimi autoritari precedenti, contemporanei, futuri. Il fascismo fu l’unico che mobilitò le masse mettendole al centro della sua attenzione, offrendo loro la sensazione di avere un rapporto diretto con il capo (Negli anni del regime scrivere a Mussolini , indirizzargli suppliche e sfoghi privati divenne una pratica di massa. ) e la possibilità di concorrere ad una rivoluzione che avrebbe distrutto il vecchio ordine sociale per crearne uno nuovo e più giusto. Era dai tempi dei comuni e delle signorie che in Italia non si aveva una intuizione politica così originale. In realtà la storia prese un altro corso e la rivoluzione si trasformò in un compromesso operato da Mussolini con la grande borghesia e con ciò che rimaneva dell’aristocrazia. Ciò produsse l’allontanamento dal PNF di tutte quelle frange più radicali ed estreme legate ad una prospettiva esclusivamente piccolo-borghese. Il partito verso la fine degli anni ’20, sempre più schiacciato sulle posizioni del suo capo, allontanò gli estremisti e si acconciò con le vecchie classi dominanti. Ma la sua base rimase sempre e consapevolmente quella dei ceti medi. Secondo lo storico De Felice due sono gli elementi che lo confermano: la riesumazione durante la seconda guerra mondiale degli uomini del vecchio fascismo, e la rivendicazione dell’onore nazionale durante la RSI. Dal proprio punto di vista nemmeno la grande borghesia fu una fedele compagna del fascismo. La preoccupava infatti la tendenza dello stato fascista ad interferire sul controllo delle attività economiche e la politica estera mussoliniana sempre più aggressiva e conseguentemente sempre meno compatibile con la possibilità di esportare i prodotti italiani. Quanto al ruolo del proletariato, di questo parlerò in seguito, posso comunque anticipare che la partecipazione fu quantitativamente e qualitativamente poco vasta, precaria e priva di una autentica sintonia ideale. Per il fascismo il vero punto di forza rimase sempre nel bene e nel male, nei momenti più entusiasmanti ed in quelli più deprimenti il ceto medio. Da tutto ciò deriva una fondamentale conseguenza che certifica la insostenibilità della tesi secondo cui il fascismo non rappresentò una rivoluzione ma bensì una forma di reazione capitalistica antiproletaria. E non poteva essere altrimenti se si considera che il fascismo fu prevalentemente sostenuto dai ceti medi ( demograficamente rilevanti ) e che la grande borghesia mantenne una posizione di sospetto e di riserva. Se non quella riconducibile all’industria pesante , favorevole alle guerre che avrebbero impinguato le loro casse con le forniture militari , senza dubbio più restia era l’industria leggera e manifatturiera che vedeva in pericolo i propri commerci con i paesi esteri. Ed infine non è stato ancora dimostrato che l’interesse del capitalismo fosse quello di portare al potere una forza radicale, rivoluzionaria che conteneva in sé ambiguità potenzialmente pericolose per il capitalismo stesso. Indubbiamente la grande borghesia cercò di imbrigliare il fascismo creando una forza antagonista al sempre più invadente proletariato ma mai pensò di cedere il potere economico al fascismo anche se spesso dovette scontrarsi con la nuova classe dirigente che il fascismo stesso aveva prodotto.

Ma cosa fu il fascismo? Un fenomeno esclusivamente idealistico o una guardia armata al soldo della grande borghesia?
La verità è molto più complessa. Un fatto tuttavia risulta fondamentale ed è la rivendicazione della vittoria della grande guerra come elemento della storia della nazione. Storicamente nessun popolo rinnega le sue guerre nemmeno quelle che ha perduto. Era concepibile che il popolo italiano rinnegasse la sua guerra vinta?
Semmai rimaneva l’amarezza che la vittoria non fosse stata sufficientemente grande e che non avesse ricompensato le giovani vite che ad essa avevano concorso. Molti giovani erano partiti per il fronte, i più fortunati erano ritornati dopo cinque anni di isolamento trovandosi davanti un mondo nuovo che non riuscivano a comprendere e nel quale si sentivano a disagio. Era chiaro il loro disorientamento e la necessità di una meta e di una guida per raggiungerla. I giovani infatti (sia proletari che borghesi) avevano in comune una dura condizione materiale: la disoccupazione ed una grande aspirazione morale: il proprio riconoscimento come fattore autonomo della società. In tempi normali i giovani borghesi ed i giovani proletari avrebbero avuto poco in comune. Lo studente di famiglia borghese rimaneva infatti per molti anni sui banchi della scuola o dell’università. Egli attendeva lunghi anni prima di affermarsi nella carriera, sgomitando per ricavare il proprio spazio.
Fra il giovane avvocato ed l’avvocato affermato vi era competitività. Per contro nel giovane operaio era più importante il concetto di classe e non quello d’età. Infatti da quando usciva dalla scuola elementare per entrare in fabbrica si differenziava ben poco dall’adulto almeno sul luogo di lavoro. Ma alla fine della guerra la situazione di entrambi divenne molto precaria. La gioventù borghese (spesso inquadrata nell’esercito nel ruolo di ufficiali di complemento) ebbe difficoltà a trovare o a ritrovare una sistemazione sociale. La gioventù proletaria non trovò più il posto in fabbrica e quindi visse una situazione di disoccupazione. La solidarietà dell’età accomunò gli uni agli altri e li unì nella lotta per un assetto sociale nel quale i giovani non fossero sacrificati. Abbandonati dalla grande borghesia, delusi e disgustati dal socialismo questi giovani si chiusero in loro stessi ripensando alla loro azione personale durante la guerra , dando così grande risalto al valore individuale. Essi ritornarono alle idee tradizionali, al valore di nazione. Animati da sentimenti rivoluzionari attesero prima una rivoluzione proletaria che non arrivò per poi scagliarsi violentemente contro il socialismo e le sue strutture. Da qui la nascita dei Fasci di combattimento in cui reduci, piccolo borghesi, giovani rivoluzionari delusi confluirono con entusiasmo nella lotta contro i vecchi schemi della società italiana e per una rivoluzione che azzerasse le classi facendo nascere una nuova idea di nazione.
Secondo alcuni storici la rivoluzione fascista ebbe tre caratteristiche. Fu rivoluzione militare in quanto ebbe l’appoggio di numerosissimi ufficiali e sottoufficiali. Carabinieri e guardie regie infatti simpatizzarono da subito con il movimento perché rappresentava un prolungamento dello stato di guerra e la valorizzazione dell’esercito nell’ambito della società. Bisogna tuttavia aggiungere che le forze di sinistra e i loro organi di stampa non manifestarono mai grande solidarietà a questi “proletari in divisa”. I socialisti identificarono con essi la durezza e le privazioni della guerra. Non seppero rispettare con la giusta equità lo stato d’animo di chi aveva combattuto in guerra per una patria, una bandiera ed ora tornava a casa comprensibilmente orgoglioso. Dice lo storico socialista Gibordi “Verso questi elementi militari noi socialisti non facemmo niente per tirarli a noi,o almeno per non averli nemici”. Per le stesse ragioni e con in più la speranza di trovare un occupazione stabile , portarono un grande contributo al fascismo i militari smobilitati, sottoufficiali e ufficiali di complemento che privi di occupazione o insoddisfatti di quella che avevano, si offrono di istruire e di inquadrare le reclute dei fasci.




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Messaggio Da Ospite Ven Ago 15 2008, 02:00


La rivoluzione fascista fu rivoluzione dei ceti medi. Come avuto modo di dire la piccola borghesia si sentiva stritolata da un duplice spettacolo, le ricchezze e lo sfarzo dei grandi borghesi e i più che soddisfacenti salari dei proletari (almeno nel periodo storico che sto analizzando). Non potendo arrivare alle grandi ricchezze della borghesia e non tollerando il fatto che un professore universitario percepisse uno stipendio poco più alto di quello di un operaio, si attaccò strenuamente all’ondata fascista che queste classi prometteva di annientare. Scriveva Einaudi sul Corriere della Sera : “ … il salario di inserviente del ministero era stato avvicinato allo stipendio del direttore generale , non perché l’inserviente fosse remunerato troppo,ma perché il direttore generale era scaduto in reddito e dignità.”.



La rivoluzione fascista fu infine una rivoluzione della borghesia contro quella bolscevica.
Le sommosse di popolo, le occupazioni delle fabbriche, la concezione universalistica del socialismo che tentava di realizzare in Italia quanto era accaduto in Russia, spaventava la borghesia. A ciò si aggiunga che dopo la guerra del 14-18 il profitto della grande borghesia si ridusse cospicuamente. Le risorse ormai minime non bastavano ad accontentare sia gli industriali che gli operai per cui l’equilibrio del gioco democratico doveva rompersi a favore di una delle due parti. Abbiamo già visto quali fossero i piani del proletariato. Alla grande borghesia serviva uno stato forte e autoritario. Per la verità ciò non avvenne in tutti i paesi europei. Quelli maggiormente dotati tanto di materie prime che di sbocchi commerciali non avvertirono la necessità di sostituire lo stato democratico. La borghesia italiana , povera degli uni e degli altri , vide nel fascismo la legittima difesa che l’atteggiamento debole e concessivo dello stato non aveva attuato, contro la minaccia dilagante della rivoluzione bolscevica. Il fascismo di conseguenza divenne uno strumento da utilizzare e sfruttare. Tuttavia la grande borghesia non andò oltre, non sposando mai le sue caratteristiche ideali che rimasero invece in buona misura prerogative della società piccolo borghese.
Il fascismo dunque rappresenta la lotta di classe della piccola borghesia in funzione anticapitalistica e antiproletaria. Merita particolare attenzione la distinzione che lo storico Salvatorelli compie tra la piccola borghesia tecnica integrata nei processi produttivi e quindi organica alla società capitalistica (artigiani, piccoli imprenditori, proprietari terrieri) e la cosiddetta piccola borghesia umanistica di cui fanno parte gli impiegati statali, i liberi professionisti. Gli appartenenti a quest’ultima, sempre secondo il Salvatorelli, avendo compiuto studi classici, possiedono una infarinatura storico-letteraria di cui i due elementi essenziali sono l’enfasi per l’impero romano ed il Risorgimento. Da qui l’esaltazione per un mondo ideale in cui si apprezza il gesto e non il pensiero, l’azione e non l’idea. Nasce il mito della nazione, della patria e si considerano malvagi tutti coloro che non la riconoscono. La più diretta conseguenza di una tale concezione fu l’esaltazione della guerra. In molti luoghi d’Italia nacquero i Fasci che facevano propaganda a favore del coinvolgimento nel conflitto contrastando i luoghi e le persone che propugnavano la neutralità. Durante la guerra poi il compito dei fascisti fu di sostenere lo spirito bellico; compito sempre più pesante a causa degli enormi sacrifici che l’evento bellico richiedeva. A guerra finita la grande borghesia delle commesse militari non aveva più interessi da spartire col fascismo, un’alleanza con il proletariato era impensabile, per cui i fascisti si trovarono isolati. Fu in questo momento che si ebbe una trasformazione ed i Fasci mutarono in Fasci di Combattimento. Il programma era indirizzato a quei gruppi sociali che non potevano aspettarsi nulla di buono dall’attuale situazione per far valere le proprie istanze. Essi infatti non riuscirono proprio a capire per quale motivo, nonostante la vittoria, nella nazione ci fosse aria di disfatta, di emarginazione, di frustrazione. Questo programma, vista la scarsa influenza dei fascisti nella vita pubblica italiana, non ebbe grande rilevanza e tuttavia esso conteneva qualcosa di veramente nuovo: tentava di offrire una risposta ai desideri di enormi masse piccolo borghesi. Il programma del partito socialista invece era concepito solo per il proletariato e anche all’interno del proletariato era indirizzato quasi esclusivamente agli operai dell’industria. Un altro elemento ancor più rilevante fu il fatto che mentre nel movimento fascista” l’azione” era esaltata, ciò non accadeva nel partito socialista che anche dopo la grande guerra continuò a vedere il suo ruolo in funzione dialettica rispetto alla borghesia ma mai tentò convintamene di distruggere lo stato borghese. Indubbiamente anche in Italia ci furono occupazioni di fabbriche da parte degli operai. Ma gli occasionali tentativi di seguire l’esempio degli operai russi non divenne mai una rivoluzione. Tuttavia , come abbiamo avuto modo di vedere , ciò bastò a spaventare a morte la classe imprenditoriale che vide nei Fasci di Combattimento una valida opposizione coattiva alle mire della classe operaia. Si creò così una nuova temporanea alleanza retta non da propulsioni ideali ma esclusivamente da una reciproca utilità. La borghesia cominciò a sostenere economicamente i fascisti, indirizzando spesso dietro compenso decine di migliaia di ufficiali smobilitati. A loro era affidato il compito di creare le organizzazioni di lotta contro il movimento operaio. Le loro prime azioni si svolsero a Bologna, successivamente fu la volta di Firenze, entrambi città situate in grandi comprensori agricoli. A salvaguardia cioè degli interessi dei proprietari terrieri anch’essi minacciati dalla probabile espropriazione della terra. Col crescere della utilità del fascismo in chiave antisocialista e antisindacalista crebbe anche il numero degli aderenti. Al primo congresso nazionale di Firenze nell’ottobre del 1919 l’organizzazione contava 17 000 membri. Nell’ottobre dell’anno dopo, al congresso di Milano, ne contava 100 000 e nel maggio del 1921 il loro numero aveva superato i 150 000. A questo punto quello che prima era stato snobbato come un piccolo gruppo di esaltati e nostalgici divenne fenomeno di massa in cui confluivano larghissime frange dei ceti medi ma che conteneva in se anche altri importanti elementi. Gli intellettuali ad esempio, molti dei quali appoggiavano la borghesia a causa delle restrizioni economiche sempre più dure a cui erano costretti, smisero di riporre qualsiasi speranza nel governo liberale intraprendendo le uniche due strade a loro possibili: l’adesione al socialismo o la ricerca, fuori dalle classi, di un nuovo partito.

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Messaggio Da Ospite Ven Ago 15 2008, 02:03

Ma anche una parte pur limitata del proletariato si affascinò al nuovo movimento. Infatti il semplice operaio, che tante speranze aveva riposto nel partito, che aveva versato le sue quote al sindacato, che aveva partecipato all’occupazione delle fabbriche, visto che la rivoluzione tardava a venire, cominciò ad essere titubante. Lasciò quindi il partito, poi il sindacato e si volse a cercare qualcosa di nuovo nell’orizzonte politico italiano che potesse fornirgli una speranza di miglioramento. Lo sfaldamento del proletariato avviene in alto e in basso. In alto il fascismo raccolse la cosiddetta aristocrazia operaia. Proletari imborghesiti che si considerano fuori dalla loro classe. In basso il fascismo reclutò i figli dei contadini da poco trasferiti dalla campagna in città che non hanno avuto il tempo di formarsi una coscienza di classe. Emarginati dalla loro scarsa preparazione tecnica ai margini delle organizzazioni operaie. Ed infine sempre più in basso il fascismo abbracciò i disoccupati respinti dal processo produttivo. Tra loro e gli operai occupati non vi era identità ma contrasto d’interessi. Alle elezioni del 1921 i socialisti persero 20 seggi, i fascisti ne ebbero 35. Il segreto del successo fascista consisteva nel fatto che aveva saputo parlare a tutti, borghesi e proletari, a tutti quegli elementi delusi dai partiti che sino a quel momento li avevano rappresentati.
Il fascismo delle origine ebbe così un carattere molto diverso da quello che assunse successivamente. Esso aveva un audace programma di rinnovamento nazionale, valorizzava la guerra rivoluzionaria, non nascondeva le sue preferenze per la repubblica. In sintesi una nazione armata, repubblicana, rivoluzionaria. Tutte idee che trovavano espressione nel movimento del futurismo. Diceva Marinetti:”Noi vogliamo cantare l’amore per il pericolo, l’abitudine all’energia e all’audacia…Finora la letteratura ha celebrato la meditazione, l’estasi, il sogno. Noi vogliamo esaltare il moto, l’insonnia febbrile, il passo ginnico, il salto pericoloso”. Molti arditi ( forza d’élite dell’esercito italiano i cui reparti vennero sciolti a causa delle loro intemperanze e dell’insofferenza dimostrata verso la disciplina ) erano futuristi o quantomeno vicini al futurismo. Tra questi vale la pena di ricordare Mario Carli e Ferruccio Vecchi con i quali Mussolini strinse un forte legame. Sul piano sociale chiedeva la giornata di 8 ore, l’istituzione di un salario minimo per gli operai, la revisione delle leggi sulle assicurazioni per malattia e vecchiaia. Sul piano più strettamente economico teorizzava l’espropriazione parziale della ricchezza privata col fine di ristabilire l’equilibrio sconvolto dalla guerra. Nel 1920 il fascismo cominciò a svilupparsi. Come avuto già modo di affermare, le file della sua organizzazione cominciarono ad ingrossarsi, ma i nuovi iscritti provenivano in maggioranza dalla borghesia agraria profondamente conservatrice, e il loro ingresso ne mutò quindi la fisionomia. L’aspirazione repubblicana divenne solo una tendenza astratta, l’espropriazione parziale delle ricchezze venne definitivamente dimenticata. Fu a questo punto che molti aderenti della prima ora abbandonarono il movimento disgustati. Ma nonostante ciò il fascismo cresceva costantemente nutrito da quelle forze non condizionate dalla classe e sinceramente animate dall’amor di patria. Il bolscevismo cocciutamente fermo nel suo atteggiamento antinazionale gli dava una mano. Nel maggio 1921 a poco più di due anni dalla sua nascita il fascismo ha completato la sua trasformazione. Il movimento, all’origine rinnovatore, repubblicano, anticlassista e anticlericale, divenne conservatore, monarchico, parlamentare (con 35 deputati in parlamento). Nel paese intanto cominciava a profilarsi una reazione antifascista. Tra i socialisti, i repubblicani e i sindacalisti si costituiscono gruppi di combattimento e di contrasto. Persino alcuni cattolici rappresentati dal partito popolare si preparavano alla resistenza armata. Il governo Bonomi preoccupato per una possibile guerra civile, propose un patto di pacificazione a cui Mussolini aderì. Ma non sempre le direttive del capo venivano eseguite ciecamente e la ribellione fascista scoppia proprio là dove il fascismo era nato: la pianura Padana. Il patto di pacificazione venne rotto e le violenze ricominciarono. Lo stesso Mussolini fu costretto ad affermare: “Con lo sviluppo enorme preso dal nostro movimento sono confluiti nei Fasci migliaia di individui che hanno interpretato il fascismo come la difesa di determinati interessi personali”. L’ascesa fascista è ormai irrefrenabile. Il movimento ha un proprio esercito che se necessario volgerà anche contro lo stato costituzionale. Il culmine venne raggiunto il 27 ottobre 1921 a mezzanotte con la mobilitazione generale dei Fasci decisi a marciare sulla capitale. Il nemico adesso è lo stato liberale. Quest’ultimo tentò di resistere, giunse persino a proclamare lo stato d’assedio per poi revocarlo dopo nemmeno un’ora. Ma ormai il trionfo fascista era inevitabile ed il terzo giorno il re convocò a Roma Mussolini e gli affidò il potere. Purtroppo come spesso avviene nella storia una volta raggiunto l’apice si appresta il declino. Nel momento stesso in cui il fascismo era giunto a Roma era iniziata la sua crisi. Risultava infatti impossibile realizzare concretamente le formule contenute nel programma. Alla vigilia della marcia su Roma Mussolini scrisse: “Il fascismo è una grande mobilitazione di forze materiali e morali che si propone di governare la nazione…Col programma necessario ad assicurare la grandezza morale e materiale del popolo italiano…Noi ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalitari e illegalitari asseconda delle circostanze di tempo, di luogo, di ambiente, in una parola di storia nelle quali siamo costretti a vivere e ad agire”. Il duce pagava così un duplice tributo: Il primo ai gruppi costituzionali i quali tentavano di ricondurre la sommossa nell’alveo del vecchio stato liberale; i gruppi rivoluzionari che timorosi del tentativo di restaurazione si dedicavano sempre di più alle attività dello squadrismo, sbiadita rappresentazione degli originari fasci.
Ma quale fu il ruolo dei cattolici in tutto questo?
Secondo i cattolici moderati il movimento fascista delle origini non era da temere, non poteva attuare nulla perché non aveva un programma. Si esaltava l’abilità di quei ministri che li sfruttavano per contenere la prepotenza rossa. Anche per i cattolici neutralisti che detestavano le intemperanze dei Fasci, il culto della violenza, l’arroganza del loro capo, il fascismo rimane il nemico numero due. Troppe sono state le violenze subite da parte dei “rossi”, troppe le rivendicazioni rivoluzionarie finalizzate alla collettivizzazione della proprietà, perché il cattolico medio potesse darsi un altro nemico numero uno che non sia il socialcomunismo. Il fascismo è anticlericale, la base culturale che lo sostiene, il futurismo è notoriamente ostile alla Chiesa. Le stesse processioni religiose hanno subito, non di rado, violenze da parte dei fascisti. Ma alla testa del fascismo c’è un uomo dall’intuito non comune. Sapeva infatti fin dove poteva spingersi e attaccava solo l’avversario dopo averne saggiato scrupolosamente la resistenza. Con il suo intuito il duce si era reso conto che non poteva abbattere la Chiesa. Chiariamo che un fondamentale anticlericalismo fu sempre presente nelle gerarchie del fascismo, tuttavia non fu mai data battaglia anzi si cercò di avere, se possibile la Chiesa alleata. Molto più articolato è lo stato d’animo dei cattolici di fronte al fascismo. La piccola minoranza dei cattolici democratici, molto vicini al socialismo riformista, non fu mai attratta dal fascismo. I cattolici più rigidi per nessuna ragione, di opportunità o convenienza, avrebbero potuto condividere la strada con un movimento costituito da profughi del socialismo rivoluzionario o del sindacalismo. Dal lato opposto vi erano i cattolici desiderosi di aderire ad un grande partito conservatore. Questi ultimi erano attratti dal fascismo non solo perché tentava di abbattere le forze del socialismo ma anche perché si presentava, almeno agli inizi, come assertore di uno Stato più leggero che avrebbe ridato all’industria e al commercio la loro piena libertà. Tra i due estremi una massa cattolica disorientata che avrebbe preferito la normale convivenza dei partiti istituzionali, che avrebbe persino accettato un governo militare ma che nulla comunque avrebbe fatto di fronte al dilagante movimento fascista. L’inconciliabilità tra la dottrina fascista e i precetti cristiani non sfuggì ad una parte del clero. Il fascismo esaltava la guerra, il cristianesimo esaltava la mitezza. Il fascismo esaltava la propria patria contro tutti e contro tutto; il cristianesimo, per sua natura universale, poneva in secondo piano le distinzioni nazionali. Tutto questo era fuori discussione. Ed era altrettanto evidente che il fascismo (come il bolscevismo) era esso stesso una chiesa. Pretendeva di possedere l’uomo in tutte le sue ore, in tutte le sue attività. Il fascismo ,insomma, era una chiesa che non contemplava l’aldilà perché nell’idea fascista, come in quella comunista, tutto deve realizzarsi su questa terra.
Tutto questo è vero. Ma c’erano anche dei punti in comune. Bisogna tener presente che la Chiesa italiana e il fascismo avevano gli stessi nemici. Il liberalismo che aveva umiliato il clero, ridotto spesso alla miseria, il comunismo che ne teorizzava l’annientamento. Il movimento fascista si presentava come una rivincita contro nemici e contro valori che il mondo cattolico da tempo contrastava. La marcia su Roma non ebbe favori o aiuti da parte del clero. La gerarchia ecclesiastica restò assente, anche se molto preoccupata, e la grande adunanza fascista non si concretizzò in violenze a preti o a cose sacre.
Secondo lo storico Jemolo, la Chiesa ha preso posizione soltanto contro i regimi che la perseguitavano, che ostacolavano il suo insegnamento, che tentavano di frapporsi fra lei e i suoi fedeli. Chiunque voglia insinuare elementi di collaborazionismo con il regime fascista dimentica che sin dalle origini la Chiesa ha cercato sempre e comunque qualcosa di buono, qualche atto di misericordia anche dai peggiori tiranni. E negli anni del fascismo le autorità ecclesiastiche intercessero non poco, e non senza risultati per i perseguitati politici. Un’ultima considerazione bisogna fare. Il comportamento della Chiesa in quegli anni amareggiò, scandalizzò, allontanò un ristretto numero di cattolici. Una condanna esplicita del fascismo, protettore della famiglia, della proprietà, della patria, della religione, avrebbe scandalizzato un numero molto più grande di persone. “E’ la Chiesa, posta nella dolorosa alternativa a dare scandalo agli uni o agli altri, saggiamente operò se scandalizzò i meno, che erano anche gli adulti dello spirito quelli che più potevano riflettere”.


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Messaggio Da Ospite Ven Ago 15 2008, 02:09


Così il fascismo , nato come un piccolo e minoritario movimento rivoluzionario, divenne in pochi anni il grande movimento di massa che resse le sorti dell’Italia per un ventennio attraverso la guida del suo capo carismatico , il suo duce.
Ma chi era Mussolini e soprattutto chi divenne ?
Possiamo certamente dire che la biografia del giovane Mussolini è stata quella tipica del rivoluzionario. Naque in una terra , la Romagna , palestra per ogni sorta di anarchico , marxista, repubblicano,mazziniano. Culla di tutti quegli individui che , pur provenienti da diverse posizioni culturali ed ideologiche , erano accomunati dalla rivoluzione politica e sociale. Il padre , tipico esponente socialista forlivese impose al figlio tre nomi : Benito come Benito Juarez rivoluzionario messicano ; Andrea in omaggio all’anarchico Andrea Costa ; Amilcare in ricordo dell’internazionalista Amilcare Cipriani. Fu proprio Alessandro Mussolini che trasmise al figlio una concezione del socialismo intrisa di anticlericalismo più romantica che razionale.
Secondo il giudizio di alcuni storici un peso importante nella formazione del carattere ebbero gli anni dell’adolescenza , trascorsi dal giovane Benito in un collegio di religiosi ( i Salesiani) . Descritti dallo stesso protagonista come anni di privazioni ed umiliazioni. Tuttavia secondo lo storico Alessandro Campi la sua formazione politica si caratterizzò ad iniziare dal periodo che trascorse in Svizzera (1902-1904) dove ebbe modo di conoscere Angelica Balanoff aristocratica ucraina socialista. Uomo d’azione più che pensatore , il giovane Mussolini ebbe con le idee un rapporto strumentale. Nel senso che non le sottovalutava , ma le considerava un propellente per l’azione. In questa fase il suo socialismo , non ancora definito, si basava su due fondamentali pilastri. La inevitabilità della rivoluzione e la forte spinta emotiva, quasi religiosa che la doveva sostenere. Alla fine del 1904 Mussolini tornò in Italia arricchito dal punto di vista ideologico e politico ma con le idee ancora poco chiare. Compì il servizio militare e successivamente insegnò in Friuli , in Liguria ed in Trentino. E fu proprio al suo rientro in Romagna che iniziò a ritagliarsi un ruolo da protagonista nelle fila del socialismo italiano. Nel 1911 si trovò coinvolto nelle manifestazioni contro la guerra in Libia e fu arrestato insieme ad un altro socialista romagnolo : Pietro Nenni. La sua carriera nel partito divenne fulminante per i meriti acquisiti sul campo. Ottenne così la direzione del prestigioso quotidiano “ Avanti” dove da subito trovarono tribuna giovani rivoluzionari e anticonformisti. Il conseguente trasferimento a Milano fece si che incontrasse il critico d’arte Margherita Sarfatti sua futura biografa che lo iniziò al culto per la “romanità”. Fondò il quindicinale “Utopia” organo del socialismo rivoluzionario italiano. Ma questo rappresentò il primo segnale di distacco ( per il momento solo sul piano culturale ) dal PSI.
Per Mussolini il principale obiettivo fu sempre la rivoluzione. I vari tentativi di accendere la miccia rivoluzionaria da parte dei socialisti italiani era fallita , segnando l’inadeguatezza politica delle masse proletarie. Alla luce di questa sua convinzione si spinse sempre più lontano da una visione universale del socialismo che egli sostituì con una concezione socialista nazionale nella quale il ruolo chiave non erano le masse ma le avanguardie politiche ed intellettuali. Solo l’azione audace e risoluta di una minoranza poteva ribaltare la società. Nella sua ricerca alla classe sostituì il concetto di nazione come unico legame di antiche radici del comportamento umano. Nel suo socialismo nazionale non c’era spazio per le vecchie classi sociali e per i partiti che le rappresentavano siano questi liberali o socialisti. Egli teorizzava una sorta di socialismo in cui prevaleva lo scontro tra volontà e non il confronto tra opinioni. Fu infatti definito dagli storici un socialismo di superuomini. Molto interessante è il concetto stesso di rivoluzione così come egli lo descrive : “ La rivoluzione non è il caos , non è il disordine , non è lo sfasciamento di ogni attività , di ogni vincolo della vita sociale…la rivoluzione ha un senso e una portata storica soltanto quando rappresenta un sistema politico, economico e morale di una sfera più elevata.”. Un aneddoto racconta che lo stesso Stalin ebbe modo di dire ad un gruppo di delegati socialisti in visita a Mosca , che l’Italia socialista aveva perso l’unico suo vero rivoluzionario : Mussolini.
Quando nel 1914 le prime ombre del conflitto mondiale imminente si allungarono sull’Europa , Mussolini , in linea con le direttive del partito si schierò su posizioni di non belligeranza. Ma successivamente maturò in lui la convinzione che solo attraverso la guerra avrebbe potuto perseguire l’agognata rivoluzione. Pubblicò sull’”Avanti” un editoriale dal titolo “ Dalla neutralità assoluta ad una neutralità attiva ed operante “ con cui segnava il distacco dalle posizioni neutraliste del Psi. Lo sconcerto che determinò con le sue nuove affermazioni lo portarono a rompere definitivamente con le gerarchie del partito da cui fu espulso qualche mese dopo. Si dimise dunque da direttore del giornale socialista per fondarne ad un mese di distanza un altro : “Il popolo d’Italia” grazie anche alle sovvenzioni economiche giunte dalla grande industria ( per le motivazioni già esposte ) e dalla Francia. Al nuovo organo di stampa chiamò a collaborare valenti nomi della sinistra quali Pietro Nenni , Sergio Panunzio nonché elementi del futurismo italiano con la pubblicazione di un inserto mensile denominato “Ardita”.
Il 24 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra. Mussolini vi partecipò come bersagliere. Ferito dallo scoppio di un lancia granate venne congedato nel 1917. La disfatta di Caporetto divenne l’occasione per interrogarsi sulle finalità della guerra. Le finalità politiche e sociali (il socialismo rivoluzionario) lasciarono il passo alla più impellente difesa della nazione. In questa fase cominciò il distacco di Mussolini dal socialismo preso ormai dalla grande idea politica dell’intesa tra combattenti e produttori. Qui si rivelò tutto il suo grande intuito allorché fu tra i primi a comprendere il grande ruolo che avrebbero svolto i milioni di reduci una volta tornati a casa. Il “ popolo d’Italia” cambiò il suo sottotitolo e da “quotidiano socialista” diventò “quotidiano dei combattenti e dei produttori”. Ma lo stesso intuito non lo ebbero le altre forze politiche. Non lo ebbero a sinistra allorché i reduci divennero il principale bersaglio polemico . Non lo ebbero i cattolici su cui pesava la condanna per la guerra di Papa Benedetto xv. Non lo ebbero i liberali che credettero di riproporre uomini e metodi dell’anteguerra come se niente fosse accaduto.
Questa felice intuizione anche se caratterizzata da atteggiamenti spesso ondivaghi ed incoerenti , gli permise dopo innumerevoli peripezie di conquistare il potere. Con la marcia su Roma si apre un altro capitolo della storia d’Italia. Un capitolo ben più doloroso dove il totalitarismo , il culto della persona , l’abominio delle leggi razziali , la barbarie di Piazzale Loreto , segnarono irrimediabilmente il giudizio storico sul fascismo. E tuttavia si tratta della nostra storia ; possiamo giudicarla ma non possiamo rinnegarla fingere che appartenga ad altri. Credo che alla fine non ci sia miglior giudizio di quello che da De Felice : “…noi antifascisti vorremmo quasi che i fascisti siano fascisti e niente altro…che gli italiani divenuti fascisti quasi cessino di essere italiani. Invece no! Fu l’Italia , furono gli italiani che divennero ad un certo momento fascisti senza cessare mai di essere italiani , per poi diventare o tornare a diventare democratici. “. Quello che sinceramente mi auguro è che , a distanza di tanti anni , sia proprio quest’ultima frase a rappresentare la chiave interpretativa da affidare al ricordo degli anziani , al giudizio di noi giovani , alla meditazione di tutti gli italiani.




Bibliografia ed altre fonti.

Renzo De Felice : Il Fascismo . Interpretazione dei contemporanei e degli storici.
Renzo De Felice : Mussolini il rivoluzionario .
Alessandro Campi : Mussolini .
Arturo Carlo Jemolo : Chiesa e stato negli ultimi cento anni.
Benito Mussolini : Raccolta di discorsi e lettere.
Internet : Wikipedia ; Storialibera ; Archivio storico del “Giornale

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Messaggio Da gbg Sab Ago 16 2008, 01:11

La frase finale di De Felice è giusta: il problema è che, ancora oggi, la storigrafia tradizionale tenda a negare che gli italiani siano stati fascisti.
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Messaggio Da aladino Sab Ago 16 2008, 01:31

Se democrazia e' consenso, vi fu mai un un governo (nel tempo, nel mondo) che ebbe tanto consenso? (Fino al 1936...ça va sans dire)
(cfr. A. Petacco - L' Uomo della Provvidenza)
Chiesa permettendo.
Non intendo l' istituzione ma il denunciatore indefesso.....

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Messaggio Da aladino Mer Ago 20 2008, 11:20

Mi sto rileggendo il contributo di ospite: non male.........
Ribadisco ancora una volta : nessuno si sogna di riproporre
( a differenza della controparte che ancora si illude).
La differenza - notevole - e' tutta quì................
Sperando di non tornarci piu' ( in senso ampio).
Così sia.

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Messaggio Da Ospite Mer Ago 20 2008, 12:49

I fascisti si sono dissolti dopo il 45; a quel punto erano tutti (fin da prima, sia chiaro) "resistenti".

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